Come si evince dall’itinerario, e come già ribadito, la Via Etnea è la bisettrice centrale del centro storico. Da lì ci si sposta ovunque poiché tutto è collegato e facilmente raggiungibile, merito del lavoro di grandi architetti che dopo il sisma del 1693 vollero progettare larghe strade in cui far riversare la popolazione in caso di calamità naturali. Proseguendo su questa arteria si giunge in Piazza Stesicoro, di fronte alla quale permangono inermi, da diversi secoli, i resti dell’Anfiteatro Massimo. Un primo impianto risale probabilmente al I sec. d.C. ma quello che si vede oggi fa parte dell’ampliamento avvenuto in epoca imperiale romana (II sec. ca. d.C.) per l’arrivo a Catania dell’imperatore Adriano. Seguirono secoli di abbandono e disuso, fino a quando non si pensò di utilizzare le sue componenti per edificare la magnifica Cattedrale di Sant’Agata (XII sec.). La storia recente, quella dopo il sisma del 1693, riporta che gran parte del Teatro e dei suoi resti servirono come fondamenta per le nuove costruzioni abitative. I primi scavi, come per il Teatro Antico, si devono al Principe di Biscari e dopo di lui molti altri si interessarono a riportare alla luce ciò che restava di una testimonianza così importante. L’Anfiteatro Massimo, il più grande in Sicilia e uno dei più imponenti in Italia insieme al Colosseo e all’Arena di Verona, aveva una circonferenza esterna di oltre 300 metri, di cui quasi 200 erano occupati dall’arena. La cavea poteva ospitare fino a 15.000 mila spettatori seduti sui gradoni e, con l’ausilio di impalcature, quasi il doppio per i posti in piedi. Un’altra tradizione, seppur incerta, lo accomuna al Teatro Antico: grazie alle condutture di un acquedotto, l’arena veniva riempita d’acqua per dare luogo alle naumachie, ovvero delle vere e proprie battaglie navali.